presS/Tletter n.26-2007
LA STORIA IN PILLOLE di Rossella de Rita
Il Papa e la “rivolta” antitasse: la storia si ripete
L’articolo del Corriere della Sera  del 20 settembre,  mi ha riportato, con la memoria, ai miei primi passi intrapresi nel campo della storia economica, quando per la stesura della mia tesi di laurea ho scelto lo spinoso argomento della fiscalità pontificia nel Quattrocento.
L’episodio ricordato dal papa, per sottolineare come alcuni eventi nella storia tendano a ripetersi uguali a se stessi, si riferisce ad alcuni avvenimenti del 387, quando, in segno di rivolta contro l’aumento delle tasse, il popolo di Antiochia si diede alla distruzione delle statue imperiali.
Nei “corsi e ricorsi” della storia il sistema tributario è sempre stato argomento difficile e decisivo nello stabilire determinati rapporti di forza. In particolare la funzione della politica tributaria è sempre stata doppia: mezzi finanziari; stabilire la sovranità su un determinato territorio.
La costituzione dello Stato in senso moderno, cominciata per i territori della Chiesa a partire dal XV secolo è passata quindi attraverso l’integrazione dei diversi comuni nello Stato, togliendo loro progressivamente autonomia finanziaria, al fine di ottenere un pieno controllo della capacità contributiva del proprio territorio. La sottomissione dei poteri locali, fino allora tollerati ha obbligato però al continuo sostenimento dei costi di riconquista; il rafforzamento politico e finanziario dello Stato si alimentavano reciprocamente.
Inizialmente i soggetti passivi dei tributi imposti dalla Camera Apostolica (ufficio a cui spetta la cura e l’amministrazione dei beni temporali della Chiesa) erano le comunità nel loro insieme mentre, i singoli, erano responsabili, solo davanti alla Camera cittadina. Il papato a partire dal XV secolo estese sempre più il controllo sui sistemi fiscali locali, riconoscendo però, in contemporanea, il Comune sovrano all’interno del suo territorio e quindi autonomo nel decidere il riparto fiscale a carico dei cittadini, i quali rispondevano solo davanti a questi ma non di fronte all’autorità pontificia. In tal modo Roma affermava la propria superiorità istituzionale e, allo stesso tempo, lasciava ai ceti dirigenti locali un residuo di autonomia, utile per mantenere la propria condizione di privilegio.
Il sistema tributario aveva un ruolo particolarmente importante nella costruzione dello stato papale. Roma, infatti, riusciva a recuperare i mezzi finanziari necessari mantenendo l’accordo con i ceti dirigenti che, a loro volta, avevano maggiori possibilità di riscossione a livello locale.
Gli importi riscossi per le varie tipologie d’imposte erano molto variabili e il sistema finanziario attuato non era particolarmente efficiente. Le comunità spesso in maniera palese ma anche in modo nascosto cercavano di evitare o quanto meno ridurre il pagamento dei tributi. Nel corso dei secoli successivi e in particolare a partire dal ‘500 il sistema fiscale tese a modificarsi e il riparto del carico fiscale tra i singoli contribuenti venne ad essere determinato direttamente dal pontefice, passando ad un’imposizione statale diretta. Questo fenomeno fu ben visibile nel caso della Capitale italiana dove un Municipio dotato di ampie competenze non era conciliabile con la presenza del capo della cattolicità e dello Stato ecclesiastico.
I fenomeni qui descritti non furono spesso né pacifici, né indolori, passando attraverso rivolte più o meno sanguinose, dei comuni nel loro complesso, dei singoli cittadini, spesso appartenenti ai ceti meno abbienti, su cui anche storicamente si è abbattuto più pesantemente il peso della politica tributaria.