
presS/Tletter n. 27-2007
LA STORIA IN PILLOLE di Rossella de Rita
La comunità ebraica a Roma
Il giorno lunedì 8 ottobre è stata presentata a Roma, presso il Tempio di Adriano (piazza di Pietra), il volume “La comunità ebraica di Roma nel secondo dopoguerra. Economia e società” (1945-1965). La ricerca presentata è il frutto della collaborazione tra l’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma (ASCER) e il centro studi della Camera di Commercio di Roma, che ne è anche editore. L’obiettivo principale della ricerca, com’è stato efficacemente sottolineato da uno degli autori, è stato ricostruire la successione dei cambiamenti socioeconomici e culturali di cui è stata protagonista la comunità ebraica di Roma nel ventennio considerato. Il lavoro presenta, in particolare, il pregio di aver dato vita ad una proficua collaborazione tra storici del diritto, sociologi, storici dell’economia, demografi e ricercatori nel campo della storia orale che, raramente intervengono congiuntamente all’interno di un medesimo contributo.
Il periodo del dopoguerra è stato caratterizzato da profondi cambiamenti istituzionali ed economici che hanno interessato tutta la penisola ma che a Roma si sono tradotti in una crescita urbanistica e demografica dando luogo ad un forte incremento nella produzione di servizi. La partecipazione degli ebrei a questo processo è stata ricca e proficua per la capitale ma non si è tradotta in cambiamenti di rilievo per la comunità ebraica.
La fine delle ostilità comportò lo smembramento dell’industria bellica cresciuta grazie alle commesse militari. Per la città di Roma in particolare questo comportò la contrazione del settore secondario, in quanto le aziende preferirono smobilitare per trasferirsi altrove o chiusero i battenti licenziando i lavoratori, con il risultato della formazione di grosse sacche di disoccupazione. La fine della guerra per Roma non significò la fine delle sofferenze per la popolazione: il problema alimentare, quello abitativo, la crescente disoccupazione incisero in modo negativo in una città già gravemente degradata nelle strutture sociali ed acuirono il clima conflittuale già esistente.
I vent’anni seguenti alla fine della seconda guerra mondiale furono gli anni del miracolo economico caratterizzato da una crescita del reddito molto elevata e da mutamenti radicali nelle strutture sociali. Le attività agricole che, fino a quel momento, avevano deciso le sorti dell’economia nazionale, cominciarono a cedere il passo al settore industriale che divenne, ben presto il traino dell’economia. Il livello di benessere degli italiani aumentò manifestandosi non solo nell’aumento delle disponibilità economiche ma in generale nei più diversi aspetti della vita quotidiana con la forte richiesta di prodotti di consumo. Roma e i suoi cittadini parteciparono a questa crescita ma non altrettanto può dirsi per la comunità ebraica romana che riprese il lento cammino di crescita iniziato con la soppressione del ghetto e interrotto con il fascismo e la guerra, ma le strutture della comunità non furono mutate radicalmente. Il legame con le tradizioni costituì un freno all’effettivo sviluppo economico della comunità stessa.
La comunità ebraica capitolina era ancora caratterizzata da un ceto formato da piccoli e medi commercianti e d’impiegati. I suoi membri videro sicuramente incrementare le proprie possibilità economiche e gli ebrei poterono godere di un benessere mai conosciuto in precedenza ma non si verificò il processo di mobilità sociale che invece colpì il resto della penisola. Le occupazioni tipiche degli ebrei continuarono a rimanere quelle precedenti allo scoppio della guerra e, soprattutto, ancora venti anni dopo la fine del conflitto, i figli continuavano a perpetrare i mestieri dei genitori.
“Si può affermare che il periodo 1945-1965 è stato, per gli ebrei romani, una straordinaria occasione perduta per potersi agganciare in modo pieno alla modernizzazione del Paese. Questi dati ci pongono due domande, ossia se questa mobilità sociale bloccata sia tipica della comunità di Roma…. e se questo fenomeno è continuato all’interno degli ebrei romani anche nei decenni successivi oppure si è modificato (Bruno Poggi, testo citato pg. 91).