presS/Tletter n.28-2007
LA STORIA IN PILLOLE di Rossella de Rita
Il costo del pane
Leggendo i quotidiani o ascoltando i telegiornali in questi giorni, colpisce l’allarme con cui è comunicato l’aumento del costo del pane. Ingiustificato secondo alcune voci e dovuto per lo più a manovre speculative, facilmente prevedibile, secondo altri, per l’andamento di fatti congiunturali e strutturali.
Nell’immaginario collettivo occidentale da lungo tempo il costo del pane, o meglio della sua materia prima, il grano, non costituiva più un reale problema per l’andamento dell’economia domestica e nazionale, meglio rappresentata dalle tariffe di altri beni percepiti come più determinanti nella vita di tutti i giorni.
Studiando le economie preindustriali il grano, al contrario, rappresentava uno strumento di particolare valore strategico in grado di attivare complessi processi di produzione, di scambio e di consumo. Il ciclo agricolo condizionava i tempi della produzione dei beni alimentari ma anche, i ritmi della lavorazione di tutte le materie prime che dalla terra venivano ricavate, per essere immesse in altri settori dell’attività produttiva.
L’esigenza di controllare i ritmi dell’offerta dei beni cerealicoli e la necessità di mantenere sufficienti i livelli di consumo, sono stati per molti secoli dell’età preindustriale il maggiore tra i problemi economici che ogni società europea ha dovuto affrontare, non solo per svilupparsi ma anche soltanto per continuare ad esistere. Centro delle preoccupazioni nella politica economica dei governi preindustriali era il problema dell’approvvigionamento e, in particolare, la presenza e l’eventuale assenza del grano dal mercato. Da qui la conseguenza di un pubblico intervento, che fosse quanto più diretto nelle varie fasi della circolazione e del consumo del grano che, in molti casi, richiese la formazione di un apparato di pubblici funzionari, appaltatori, banchieri, mercanti, incaricato di dirigere l’intera questione inerente ai rifornimenti alimentari.
Il termine carestia, che evoca alla nostra mente tragici scenari, deve spesso essere inteso, non come effettiva penuria di grano ma, come sua artificiosa carenza. La carestia poteva essere utilizzata come strumento di ricatto politico sulla città ed essere creata ad arte per esempio, per ottenere la caduta del governo locale o il rialzo del prezzo del grano. La storia delle carestie s’ intreccia nelle società preindustriali con la storia delle lotte per il controllo politico delle città, controllo che era sempre nelle mani di chi riusciva a rifornirla di derrate alimentari. Per le autorità municipali, le politiche del grano rientravano nella sfera amministrativa piuttosto che in quella del commercio e per questo motivo erano molto interessate ad organizzare e gestire un mercato controllato dei cereali. Basti pensare che dalla carestia non tutti uscivano nelle stesse condizioni: essa rovinava i piccoli proprietari terrieri costretti a svendere mentre faceva la fortuna dei grandi proprietari e dei mercanti di grano che diversificavano i propri investimenti.
Le carestie divennero specie nel mondo basso medievale importanti occasioni di ridistribuzione dei redditi, come poteva desumersi dalla stessa documentazione medievale. Le cronache del tempo rivelano che i prezzi crescevano, non perché il grano non fosse stato prodotto localmente in misura sufficiente o perché non fosse stato acquistato dai mercati esteri o mancasse dai granai dei produttori più potenti, ma perché esso non era posto in vendita nell’attesa della crescita dei prezzi. La carestia implicava la crescita dei prezzi relativi dei beni per l'alimentazione, e questo costituiva una precisa discriminante tra chi poteva nutrirsi senza intaccare il proprio patrimonio e coloro che non potevano accedere agli alimenti se non in modo stentato o al prezzo della svendita della maggior parte dei propri beni. Gli episodi di carestia trasformavano profondamente gli equilibri economici delle città medievali.