
presS/Tletter n.33-2007
LA STORIA IN PILLOLE di Rossella de Rita
Roma capitale: problemi vecchi e nuovi
Il 20 settembre 1870, con la breccia di Porta Pia, Roma divenne capitale d’Italia. La città mostrava il volto di un’economia di tipo pre-capitalistico, e le produzioni più importanti erano legate al mercato offerto dal grande sviluppo dell'apparato ecclesiastico e del turismo. Lo sgretolarsi dell'antico potere temporale e la nuova veste politica peggiorarono, inizialmente, le condizioni di vita per larga parte della popolazione.
Al rincaro dei prezzi che colpì tutta Europa, si aggiunse, ad aggravare la situazione, il nuovo sistema fiscale. Sotto i pontefici, i romani avevano sentito ben poco il peso dei contributi per lo più indiretti. Improvvisamente il carico fiscale aumentò in maniera considerevole, provocando proteste e rivolte. Il significato dell’imposizione tributaria era scarsamente compreso dai romani, incapaci di percepire il nuovo rapporto cittadino-Stato, che si vedevano corrispondere minori contropartite di quelle ricevute dallo Stato pontificio.
Trovatasi dopo il 1870 ad assolvere il ruolo di capitale di un Regno che, dal punto di vista territoriale, demografico ed economico era molto più grande dello Stato pontificio, cui finora era appartenuta, Roma era dovuta sottostare a numerose trasformazioni. Dopo un primo iniziale smarrimento Roma ha già trovato invece un nuovo equilibrio, mostra già, a chi ben l’osservi, un volto assai mutato.
Si dilatò l’afflusso turistico; accanto ai tradizionali motivi di visita s’aggiungeva ora il fascino della capitale. Si moltiplicarono gli alberghi, le locande, le pensioni, le caffetterie e le birrerie. Rifiorì l’attività commerciale, anche se le aziende conservarono prevalentemente le caratteristiche della conduzione familiare. Riprese quotano anche l’impiego pubblico, con percentuali crescenti d’occupazione nel processo d’ampliamento dell’apparato amministrativo statale.
In relazione alle prospettive d’incremento legate al suo nuovo ruolo di capitale, Roma divenne luogo d’investimenti nazionali, soprattutto di carattere speculativo, il cui fine era la formazione di rapidi profitti, che le conferirono un ruolo finanziario sempre più integrato con quello del resto del Paese e molto più ampio di quello rivestito nel recente passato. Nel corso dell’Ottocento il quadro economico e sociale della città, povera d’industrie e commerci di rilievo, aveva penalizzato anche il campo creditizio.
L’inserimento di Roma nel contesto nazionale innestò un processo d’espansione bancaria, incoraggiata dalle aspettative d’investimento collegate al nuovo ruolo di capitale. Nel giro di pochi anni la città divenne sede di una decina d’istituti bancari e società commerciali che ne alterarono completamente il mercato creditizio modificando la posizione degli istituti di credito locali, costringendoli a ridefinire i loro ruoli. In particolare gli investimenti di carattere edilizio convogliarono a Roma capitali sia italiani sia esteri. Fin dagli inizi del nuovo Stato i problemi edilizi si posero come i più urgenti; il trasferimento delle amministrazioni centrali, i corpi militari, l’afflusso di famiglie intere da altre regioni, provocò crescente richiesta d’alloggi d’ogni genere e il notevole rincaro dei fitti. L’amministrazione comunale si trovò nella necessità di costruire strade, fogne, acquedotti, abitazioni e di urbanizzare aree adatte alla costruzione di scuole, mercati, negozi.
L’arrivo dei redditi di natura amministrativa consentì il passaggio dell’edilizia romana dalle costruzioni su ordinazione a quelle per il mercato. Il vertiginoso aumento dei prezzi dei terreni e delle abitazioni attirò un crescente volume di capitali verso il settore edilizio dando impiego non solo a gran parte della popolazione romana ma utilizzando anche molti degli immigrati che erano giunti in città. La speculazione, che era cominciata sin dagli anni ’70, ma ebbe il suo apice negli anni ‘80, non aveva però tenuto conto né del ritmo di formazione del reddito né dell’andamento e della qualità della domanda, creando un forte divario tra prezzi dei nuovi alloggi e disponibilità dei consumatori. Sul finire del decennio una gravissima crisi coinvolse, non solo il settore edilizio ma, tutte le produzioni ad esso direttamente o indirettamente collegate e investì molti istituti bancari, che si erano largamente impegnati nel finanziamento delle operazioni d’acquisto.
La crisi aggiunse i suoi deleteri effetti alla più generale recessione economica che negli anni ‘80 colpì gran parte dell’Europa travolgendo non solo i settori produttivi ma anche i commercianti, colpiti dalla diminuzione dei consumi.
Il flusso migratorio, che era stato generato dalla febbre edilizia e aveva intensamente caratterizzato gli anni precedenti, si spezzò. La crisi edilizia fece risentire i suoi effetti, specie sulla parte più povera della popolazione, per tutto il decennio Novanta in cui aumentarono le domande di soccorso alle Congregazioni di carità.