
presS/Tletter n.01-2008
LA STORIA IN PILLOLE di Rossella de Rita
Il sistema bancario italiano dall’Unità alla Banca d’Italia
Il sistema bancario ereditato dal nuovo stato italiano all’unificazione conservava poche tracce del glorioso passato. Sopravviveva qualche antico Monte di Pietà, alcuni banchi pubblici e un numero considerevole di banchieri privati. Nella prima metà dell’Ottocento erano sorte nuove banche, sostanzialmente di due tipi: casse di risparmio e banche d’emissione, le quali esercitavano anche la normale attività bancaria.
Al momento dell’unità le scelte teoricamente possibili per il riassetto del mercato creditizio erano molteplici. In Europa, si contrapponevano due modelli: quello inglese e quello francese.
Il modello francese era caratterizzato dalla presenza, accanto alle banche commerciali, d’istituti di credito speciale: d’emissione, fondiario, agricolo, mobiliare che derivavano la loro azione da concessioni statali. Il modello inglese prevedeva la libertà delle banche; l’unico vincolo era rappresentato dal Peel Act del 1844, per le banche d’emissione.
Nel campo degli istituti d’emissione gli esempi andavano dalla Banca francese, che operava in regime di monopolio, alle banche scozzesi contraddistinte dalla totale libertà.
Questo era lo schema che si trovò davanti il legislatore italiano, erede di un sistema vincolistico sul modello francese. La scelta fu di favorire sul piano locale l’attività delle istituzioni esistenti. Le linee evolutive scelte furono soprattutto francesi, sia perché maggiori erano le conoscenze, sia per i forti rapporti esistenti con quel paese. Si tentò la fusione tra la Banca Nazionale e quella Toscana con l’idea di costruire un sistema bancario articolato, modellato sull’esempio francese, con una grande banca d’emissione al vertice, molto legata al governo, da cui si diramassero poi altre istituzioni creditizie. Il progetto fu bloccato ma la Banca Nazionale assunse, di fatto, una forte preminenza con la detenzione di oltre i due terzi del capitale nazionale e circa il 60% della circolazione (dati riferiti al 31/12/1873).
Negli anni tra il 1870 e il 1874 si ebbe un vero e proprio boom degli istituti bancari con la creazione di molti istituti di credito ordinario e di banche popolari, ovvero istituti di credito cooperativo.
Lo sviluppo della struttura creditizia, per buona parte del primo ventennio, fu legato al commercio e ai servizi pubblici e privati, più che al finanziamento d’imprese agricole e industriali. Per più di vent’anni dopo l’Unità, il sistema bancario favorì il potere della ricchezza mobiliare. Pose la sua attenzione più alle operazioni speculative che ad investimenti a medio e lungo termine, sia perché legata agli interessi di gruppi stranieri o di piccole oligarchie locali, sia perché non contava su depositi consistenti. Solo la creazione del Credito Mobiliare (1863) e della Banca Generale (1871) avevano favorito gli impieghi e la partecipazione nelle attività imprenditoriali. Le due banche però si lanciarono massicciamente anche negli affari fondiari, in proprio o partecipando in banche impegnate a loro volta in attività immobiliari. Il tessuto industriale italiano era però troppo esiguo per sostenere il sistema bancario e quando il settore edilizio entrò nella sua inevitabile crisi coinvolse molti istituti di credito. La Banca Nazionale tentò il salvataggio di molte banche immobilizzando però le sue risorse in istituti gravemente compromessi. Sia su autorizzazione del governo sia in maniera del tutto illegale furono superati i limiti di circolazione. Gli anni compresi tra il 1889 e il 1894 sono stati definiti “gli anni più neri dell’economia del nuovo Regno”.
Il governo si adoperò per il riassetto del sistema bancario arrivando alla costituzione della Banca d’Italia che entrò in funzione il 1° gennaio 1894.