presS/Tletter n.02-2008
LA STORIA IN PILLOLE di Rossella de Rita
La banca mista
L’Italia è giunta in ritardo all’appuntamento con l’industrializzazione, che per molti paesi europei era già un fatto compiuto a metà dell’Ottocento. Il bel paese ha però compiuto uno sforzo notevole per recuperare tale ritardo appoggiandosi su due fattori: la banca mista e lo Stato.
L’appellativo di banca mista è stato dato a quelle banche che esercitavano contemporaneamente il credito a breve, medio e lungo termine; si trattava di banche de-specializzate, dette anche universali, che servivano il cliente in tutte le sue necessità, “dalla culla alla bara”, il cui prototipo è stato riconosciuto nelle banche tedesche sorte nella seconda metà dell’Ottocento. Alla fine del secolo XIX sorsero in Italia le due banche miste più importanti: il Credito Italiano e la Banca Commerciale che riuscirono a costruire un autentico reticolo d’intrecci azionari che avevano però nei due Istituti la diramazione principale.
Nel primo periodo di formazione obiettivo primario di questi istituti fu quello di svolgere le funzioni di banchiere; tuttavia, per veder crescere una clientela solida e fedele occorreva contribuire alla creazione e al consolidamento delle imprese. Questi Istituti partecipavano all’allargamento o alla creazione di un’impresa con un sindacato di collocamento delle azioni guidato dalla banca, che si riservava una parte delle azioni dotate di valore strategico, con le quali piazzando suoi uomini nei consigli d’amministrazione  poteva seguire da vicino la vita dell’impresa. Le situazioni di crisi aziendale erano spesso affrontate e risolte direttamente dalla banca; quando la crisi eccedeva le capacità di un singolo istituto si formavano consorzi d’intervento, a volte di vaste proporzioni. La banca mista infine poteva svolgere una serie d’altri compiti prestandosi quale fideiussore presso altre banche, offrendo pareri tecnici sull’affidabilità d’alcuni progetti, impegnandosi nella promozione di diverse iniziative.
Il ruolo di queste banche è stato oggetto di valutazioni divergenti e discussioni vivaci. Il credito alle imprese, così come praticato dalle banche miste, comportava un immobilizzo del capitale a scadenza più lunga di quella per cui la banca si era impegnata nei confronti dei depositanti. Si creava quindi una situazione pericolosa per la banca che in un periodo di crisi o di panico non sarebbe stata in grado di far fronte alle richieste di ritiro dei depositi. Inoltre si tendeva ad approfittare della buona fede dei risparmiatori che ricevevano i modesti interessi resi dai depositi mentre i più alti guadagni derivanti dagli investimenti industriali arricchivano esclusivamente la banca.
In un paese come l’Italia afflitto da una cronica penuria dei capitali disponibili all’investimento industriale, un sistema creditizio che distinguesse rigorosamente le banche commerciali e le società d’investimento finanziario non avrebbe consentito una mobilitazione del risparmio per fini industriali.
Lo sviluppo industriale innescato dalla Prima Guerra Mondiale permise a molte imprese di aumentare i loro margini d’autonomia, costringendo le banche miste a trasformarsi in banche holding, per rafforzare il controllo diretto sulle imprese, attraverso un più massiccio possesso di pacchetti azionari.
Questo forte connubio tra banca e impresa e la crisi del ’29 modificarono profondamente gli assetti del capitalismo italiano decretando da lì a pochi anni la fine della banca mista. Il rapporto fra banca e industria, infatti, da “fisiologica simbiosi” si era mutato in una “mostruosa fratellanza siamese”. Le anomalie dovute agli stretti rapporti fra le banche miste e il sistema industriale avevano finito per coinvolgere anche la Banca d’Italia, che dovette impegnarsi in varie operazioni a sostegno degli istituti di credito più esposti.
In questo panorama un nuovo attore economico molto potente, lo Stato, entrò in scena. Nel 1933 fu istituito l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) che assunse il controllo delle principali banche del paese e delle società da queste controllate. In questo modo un’enorme fetta dell’economia italiana venne a trovarsi nelle mani dello Stato.