presS/Tletter n.15-2008
LA STORIA IN PILLOLE di Rossella de Rita
Il credito su pegno
Secondo la legislazione odierna le operazioni di credito su pegno hanno una vera e propria natura creditizia, essendo un prestito con garanzia di beni. Questo tipo di operazione viene sfruttata in tutti quei casi in cui occorre in genere una liquidità immediata, per un breve periodo. I tempi di erogazione sono molto rapidi e la polizza di prestito su pegno è un titolo che legittima il portatore a riscattare il bene dato in pegno agevolando la fattibilità dell’operazione e, volendo, l’anonimato del prestatario.
La natura creditizia dei monti di credito su pegno è stata oggetto di lunga discussione sia in varie sedi legislative, sia per larga parte della storiografia che si è occupata di questa problematica.
Promotori della fondazione dei primi monti di pietà, che esercitavano questa forma di credito, furono i francescani che, con la loro predicazione contro i prestatori ebrei, s’impegnarono attivamente per la creazione d’istituti il cui compito era quello di offrire piccole somme in prestito, sotto la forma del credito su pegno. I monti, salvo rare eccezioni, nacquero con mezzi forniti dalle donazioni e i capitali, per il proseguimento dell’attività, provenivano da contribuzioni obbligatorie, da lasciti, donazioni, elemosine. La forte precarietà di questi mezzi di sostentamento indusse ben presto molti istituti ad affiancare alla tradizionale attività, l’operazione di raccolta del risparmio, mediante la ricezione dei depositi. In un primo momento i depositi furono infruttiferi e, per invitare le persone a depositare i loro averi, si accordarono speciali favori spirituali e indulgenze. Nel corso del XVI secolo molti depositi divennero fruttiferi e accanto alla tradizionale attività di prestito su pegno si aprirono nuove fonti di investimento. Si svilupparono i prestiti alle città e agli enti pubblici e privati, i prestiti agrari e ipotecari, gli appalti affidati ai monti dalle autorità e lo stesso prestito su pegno fu accordato anche per cifre molto elevate. A partire dalla metà del XVI secolo e, soprattutto nel XVII e XVIII secolo, il prestito su pegno cominciò ad essere solo una delle tante operazioni cui erano dediti i monti, le cui attività erano fortemente legate a quelle dell’economia cui appartenevano. La ricchezza dei loro patrimoni e la gestione non sempre attenta, indusse in molti casi ad abusi e malversazioni che per essere riparate richiesero l’intervento del comune, della città o dello stato. In molti casi il monte non era più un istituto benefico ed era molto più di un’azienda di credito, assumendo spesso la fisionomia di un vero e proprio strumento di politica economica, finanziaria e monetaria utilizzato dai governi locali.
Un primo tentativo di legislazione uniforme deve ricondursi alle conquiste napoleoniche, che importarono nel nostro paese le esperienze francesi. I monti furono assimilati a casse pubbliche, con conseguente spoliazione dei loro beni; la loro gestione fu affidata alle congregazioni di carità. Il periodo francese provocò forti cambiamenti nella vita di questi enti.
La fine della parentesi giacobina causò in molti casi una vera e propria crisi nelle strutture economiche e finanziarie dei monti. L’importanza rivestita nei contesti locali non diminuì e la necessità di collocarli in una giusta dimensione giuridica si fece risentire con urgenza nel momento dell’unificazione italiana. Il legislatore si occupò per la prima volta di questi istituti nel 1862 e ritenendo necessario sottoporli ad una disciplina generale uniforme, li collocò nell’eterogenea categoria delle opere pie.
La nuova legislazione creò in molti istituti notevoli difficoltà dovute al fatto che spesso svolgevano attività assimilabili a quelle bancarie. Numerosi monti si avvalevano, ad esempio della facoltà di ricevere depositi in denaro per concorrere, con gli utili di dette operazioni, a coprire le perdite del prestito su pegno e per incrementare, con le somme raccolte, il volume del credito concesso.
Ulteriori limitazioni e impedimenti furono posti dalla legge del 17 luglio 1890 sulle istituzioni di pubblica beneficenza che, qualificando i monti di pietà come opere pie, li sottometteva alle minuziose e soffocanti disposizioni di tutela, di vigilanza, di amministrazione e di contabilità, di cui la detta legge era molto ricca.
I monti di pietà costituivano ormai una realtà diffusa su tutto il territorio nazionale, ma presentavano caratteri eterogenei sia come sviluppo quantitativo sia come tipo d’attività svolta.