
presS/Tletter n.18-2008
LA STORIA IN PILLOLE di Rossella de Rita
Il Monte di Pietà di Roma
Abbiamo visto nell’ultimo articolo comparso nella PresSTletter del 23 aprile 2008, alcuni cenni sull’attività di credito su pegno, svolta degli istituti che nel corso del tempo sono stati diversamente qualificati: istituti di beneficenza fino a veri e propri istituti di credito.
L’attività dei monti era strettamente legata alle vicende economiche del territorio in cui operavano; l’entità dei prestiti e i requisiti in base ai quali erano, concessi dipendevano in larga misura dalla situazione finanziaria dell’Istituto ma anche dalle condizioni della popolazione, dalle sue abitudini, dalla frequenza con cui ricorreva agli sportelli e dal valore degli oggetti impegnati. Il movimento demografico, il tipo delle attività produttive normalmente esercitate, la possibilità di accedere a fonti di credito diverse dal prestito su pegno, erano tutti fenomeni che avevano ripercussioni sulla vita dei singoli enti.
Il Monte di pietà di Roma non fece eccezione a questo principio, integrandosi fortemente nell’economia cittadina e soccorrendo la popolazione con i suoi prestiti. La sua azione fu anche più vasta essendo il più importante istituto finanziario dello Stato pontificio, per cui la sua gestione fu spesso condizionata dai fini e dagli obiettivi della politica temporale della Chiesa. Nell’ultimo trentennio del XIX secolo, gli stravolgimenti politici ed economici che colpirono la città e la nuova legislazione sui monti di pietà, coinvolsero la vita dell’Istituto che si trovava già a combattere con una precaria situazione finanziaria. Nel corso dell’Ottocento tentò di ripristinare il proprio patrimonio e di reinserirsi in un’economia locale che aveva subito profonde modifiche nella sua popolazione, nelle principali attività lavorative, nel mercato creditizio.
Momento particolarmente delicato per la capitale fu la sua annessione al neonato Regno d’Italia che comportò profondi sconvolgimenti.
La popolazione subì un forte incremento: tornarono gli esuli, entrarono i funzionari, gli uomini politici e gli affaristi, con una crescita che solo nel 1870 fu di oltre l'8%. Nel periodo tra il 1872 e il 1900 l'aumento, nella capitale, calcolabile in misura approssimata a 217.000 unità, fu dovuto solo per il 13% a incremento naturale e per l'87% all'immigrazione proveniente per tre quarti dal Lazio e per un quarto dal resto del territorio del Regno. Negli anni successivi al 1870 l'incremento fu meno rilevante oscillando, nel primo decennio, tra l'1,2 e il 3,8% e registrando, negli anni '80, specie nel biennio 1885-87, un aumento medio del 3,4%. Con il sopraggiungere della crisi edilizia il fenomeno si arrestò quasi del tutto. La distribuzione professionale vedeva il 22,4% della popolazione impiegata direttamente nella produzione delle materie prime, il 13% nelle produzioni industriali, il 21,3% in varie attività e il 43,7 % erano comprese nella categoria persone senza professione o indicazione. Le attività da cui principalmente si traeva di che vivere erano quelle più strettamente collegate alla funzione che Roma assolveva nell'età pontificia: capitale religiosa, centro artistico e monumentale, capitale politica di uno stato. La massa popolare era prevalentemente costituita da impiegati pontifici, da artigiani, garzoni, bottegai e commessi. Roma era soprattutto una città di servizi in cui sia il settore agricolo, sia quello industriale, avevano una scarsa rilevanza e la produzione presentava spiccati caratteri precapitalistici. La campagna della provincia romana era caratterizzata da una forte concentrazione della proprietà in poche mani. Nella vita economica predominavano i rappresentanti dell'aristocrazia terriera; molto del denaro che si spendeva in città, proveniva dalle rendite dei proprietari e affittuari dei terreni.
La produzione industriale versava per lo più in condizioni di arretratezza tecnica e mancanza di capitali, che preferivano investimenti alternativi quali i titoli del debito pubblico.
La disoccupazione riguardava il 26,7% della popolazione. La sopravvivenza a Roma era stata garantita dalla struttura del vecchio regime e da una società basata su impieghi e servizi, garantiti dal contesto clientelistico e protezionistico. La massa dei disoccupati e sottoccupati non aveva mai conosciuto la totale miseria, per tutti era stata garantita la sopravvivenza, tenendo bassi il costo dei prodotti alimentari e delle abitazioni, facilitando il ricorso ai numerosi istituti di carità e di beneficenza. Le strutture per l’assistenza erano numerosissime e fortemente impegnate nel far fronte a fenomeni quali la disoccupazione e il vagabondaggio. Per gran parte della popolazione era esclusa la possibilità di ottenere credito nel normale circuito bancario e fondamentale rimaneva il ricorso al monte di pietà.