presS/Tletter n.19-2008
LA STORIA IN PILLOLE di Rossella de Rita
Il Monte di Pietà di Roma (II)
Il Monte di Pietà di Roma fu fondato nel 1539, quasi settant’anni dopo l’istituzione del primo monte a Perugia. Considerando lo stato di particolare miseria in cui viveva gran parte della popolazione romana, il ritardo può essere spiegato considerando la particolare funzione svolta dagli ebrei. Nella città papale erano questi ultimi a occuparsi del credito in tutte le sue forme e la Curia traeva notevoli vantaggi nel ricorso ai banchieri israeliti, per mantenere il controllo del mercato finanziario locale e quindi della politica comunale. Fondato il Monte, fu posto l’esplicito divieto agli ebrei di servirsi di esso, proibizione rimasta in vita fino all’Ottocento, ma in realtà non vi fu un’effettiva concorrenza con i banchi feneratizi ebraici che, comunque, trovarono il modo di servirsi di esso e anzi di utilizzarlo, spesso tramite prestanome, per rimpegnare oggetti ricevuti in garanzia.
Il monte di Roma non fu dotato di un patrimonio stabile; il capitale per la sua attività era assicurato per lo più da atti di liberalità e beneficenza, come anche dalla possibilità di raccogliere depositi fruttiferi al 4%. Questi dovevano essere eseguiti in modo che risaltasse l’utilizzazione sociale da parte del monte, che doveva impiegarli esclusivamente per far prestito ai poveri. Nel 1584, fu reso obbligatorio il versamento dei depositi giudiziali superiori a cinque scudi, presso il Banco controllato dal Monte, permettendo all’Istituto di contare su un capitale stabile per fare fronte alle esigenze del prestito. Le disponibilità liquide aumentarono e l’autorità ecclesiastica cominciò a interessarsi attivamente alla sua vita. Lungo tutto l’arco del XVII secolo, il rapporto con lo Stato divenne sempre più stretto, fino a che il Monte si trovò al centro di una complessa trama di rapporti, che regolava l’attività finanziaria della Chiesa e influivano in modo determinante sull’andamento complessivo della vita economica e sociale. Questi stretti legami portarono, nel corso del XVIII secolo, a un’utilizzazione sempre più vasta delle casse del Monte, per soddisfare la politica economica dello Stato pontificio, tanto da far assumere all’Istituto un ruolo pubblicistico sempre più spiccato ma corrodendo, di contro, il suo capitale, rendendolo una struttura finanziaria precaria. La storia del Monte nell’Ottocento seguì da vicino le sorti della città di Roma rimanendo coinvolto nelle vicende che videro la fine del potere temporale della Chiesa.
Nel 1870 il Monte di Roma si trovò assoggettato alla legislazione  nazionale, che negando ai monti natura creditizia li confinava nell’ambito delle opere pie. Nella gestione dei primi anni, la  possibilità per l’Istituto di praticare esclusivamente il credito su pegno, si rivelò provvidenziale per le sue casse e la prudenza e l’abilità degli amministratori fecero sì che le sue sorti si  risollevassero nel giro di poco tempo.
La pratica del credito si scontrava però sempre più apertamente con la disciplina legislativa che per altri istituti, che si erano trovati in condizioni meno precarie, si era rivelata costrittiva e insufficiente sin dai primi anni.
L’accesa discussione sulla vera natura giuridica dei monti, apertasi  sin dai primordi della nuova legislazione, dovette però attendere lungamente prima di veder riconosciuta, almeno formalmente, la natura d’istituti di credito. Per oltre trent’anni, dal 1862 al 1898, il legislatore, infatti, ignorò le effettive funzioni svolte da questi enti, portandone alcuni a operare apertamente contro le disposizioni di legge e altri a dibattersi in forti difficoltà finanziarie. Perché questa miopia? Dare una risposta univoca resta difficile e furono molto probabilmente un insieme di cause che non permisero di affrontare efficacemente la problematica. L’originaria predicazione francescana aveva lasciato tracce profonde negli statuti di tutti gli Istituti che, per quanto rivisti e rielaborati nel corso dei diversi secoli, vedevano ancora l’esercizio del credito su pegno soprattutto nella sua funzione benefica, quale alternativa alle pratiche usuraie. 
I monti erano stati indubbiamente costituiti per lenire i disagi  economici delle classi più povere ma la pratica di indagare sullo  stato economico del richiedente, o il sottoporlo a particolari  giuramenti che attestassero il suo stato di bisogno o l’utilizzo del  credito concesso, era stata ben presto abbandonata. Per ottenere credito era sufficiente possedere un oggetto dotato di valore commerciale; utenti del Monte erano quindi i poveri comunque inseriti nel contesto sociale produttivo escludendo dall’utenza i nullatenenti.
Alla fine dell’Ottocento Roma divenne teatro di cambiamenti radicali in ogni campo che la inserirono sempre più velocemente nella realtà economica del resto del Paese, facendone il centro finanziario di un vasto giro di affari soprattutto di carattere speculativo.
Il Monte di Pietà si trovava a dover fronteggiare una nuova situazione sociale e a dover competere con un sistema bancario in rapida evoluzione, con il quale sia per la sua precaria situazione finanziaria, sia per la sua collocazione nell’ambito delle Opere pie, stentava a mantenere il passo. Unica possibilità rimaneva quella di porsi al servizio del credito al consumo, attraverso l’antica e collaudata pratica del prestito su pegno. Nella mutata condizione economica che investì la città di Roma, il peso dell’antico Istituto divenne nel complesso irrilevante, pur rimanendo importante per alcune  classi sociali e non sempre le più disagiate.