
presS/Tletter n.11-2011
LA STORIA IN PILLOLE di Rossella de Rita
Roma fascista
Il percorso svolto su Roma capitale dovrebbe aver messo in luce il profondo conflitto esistente tra la città e il resto della nazione, una città chiamata a svolgere un compito per cui non era preparata e che mai era stata dotata dei mezzi necessari per adeguarsi.
Nonostante ciò Roma aveva sempre svolto un ruolo politico molto delicato, ruolo cui fu chiamata anche nel periodo fascista. La concezione di Roma come città imperiale fu, anzi adottata, esaltata e sfruttata dal regime.
Il rapporto tra Roma e Mussolini non fu però generato da un colpo di fulmine ma, al contrario, inizialmente, il fascismo mostrò un forte disprezzo verso la città che era la base dei partiti politici liberali da spazzare via, rappresentava l’Italia decadente, la città inerte. I cittadini romani erano pantofolai, campavano alla giornata, non contribuivano alla vita produttiva, culturale e intellettuale del Paese. Roma era ferma, inattiva, oziosa, ladrona, assoluta antitesi all’idea di nuovo propagandata dal fascismo. Lo stesso Mussolini si esprimeva in maniera fortemente critica nei confronti della città e della sua popolazione definita edonista.
Il suo rapporto con la città cambiò solo nel momento in cui cominciò a delinearsi una precisa strategia. La Roma moderna fu sempre vista con astio ma una nuova Roma doveva sorgere. Il mito cui Mussolini si ispirava era quello della Roma antica, dei suoi ideali, della sua scienza militare, delle sue architetture. Tutta la nazione doveva essere militarizzata e disciplinata e Roma divenire il centro della nuova Italia. Il suo nome era universale, glorioso nel tempo. Roma era il centro del cattolicesimo. Il sangue degli antichi romani scorreva nelle vene degli italiani. Il centro della vita politica, il cuore pulsante della nazione non poteva chiamarsi altro che Roma.
Questi gli argomenti con cui Mussolini infiammava le piazze.
La costante cura e attenzione, dedicate all’abbellimento e all’ammodernamento urbanistico della città, sembrerebbero confermare la dedizione del regime all’idea della nascita della monumentale Roma del XX secolo.
L’istituzione del Governatorato di Roma nel 1926 rappresentava sicuramente un tentativo di risolvere gli annosi e spinosi problemi di rapporto tra città e Stato. Il Governatorato era un organismo accentrato, alle dirette dipendenze del capo del Governo, il cui principale compito doveva essere quello di superare i contrasti che frenavano lo sviluppo della città e non le permettevano di diventare una metropoli moderna.
Una più attenta analisi dei bilanci e dei rapporti con il Ministero delle finanze svela però il permanere dei vecchi conflitti. I governatori che si succedettero si trovarono tutti di fronte ai medesimi problemi: l’incapacità di gestire spazi autonomi dai poteri centrali, un bilancio insufficiente a garantire alla capitale le risorse necessarie per la sua crescita.
Nonostante l'esaltazione della propaganda, i finanziamenti per la capitale restarono poca cosa rispetto ai bisogni dell'aumentata popolazione, alle direttive impartite da Mussolini per la creazione di una "Roma fascista" e alla sempre maggiori richieste degli apparati del partito. Lo sviluppo fu quindi caotico e traballante, guidato da un’amministrazione incapace di governare e in un crescente malessere dei ceti popolari, lasciati soli ad affrontare i disagi della metropoli. L'eredità che il fascismo lasciò alla Capitale fu dunque pesante.
Alla caduta del regime la città si trovò profondamente indebitata, sottodimensionata per quanto riguardava le infrastrutture, profondamente segnata da una scissione interna che contrapponeva al centro amministrativo e monumentale una periferia povera e degradata.